Coltiviamo in modo non intensivo. Il termine è tecnico, e contrario al superintensivo, che oggi viene visto come la soluzione competitiva della grande produzione italiana e estera, fatta su terreni piani e cultivar di olivi non autoctone, atte a dare il massimo.
Le cultivar della zona (frantoio, moraiolo, pendolino, leccino) producono, invece, quattro volte meno olive di un superintensivo. La resa è spesso appena dell’11%.
Il numero di piante per ettaro poste su terrazze come le nostre è ridicolo, ma tutto il resto è vegetazione e biodiversità.
Hai mai assaggiato olio di oliva naturale?
Sono olivicoltore, produciamo olio dalle nostre piante in una piccola azienda agricola, il Ronco, situata sulle colline del Montalbano in Toscana. Sono amante dell’olio naturale, autentico e genuino e mi prodigo per ottenerlo con metodi tradizionali senza l’aiuto di elementi chimici.
Il nostro olio extravergine di oliva Il Cassero è naturale, perché usa la biodiversità presente nell’oliveto per proteggere, alimentare e impollinare gli olivi. In questo modo non vengono utilizzati né erbicidi, né pesticidi.
Le piante selvatiche vengono lasciate il più possibile libere di crescere, così che fiori di ogni tipo, cespugli e alberi da frutto possano accogliere la vita di insetti e piccoli animali utili all’equilibrio dell’ecosistema nell’oliveto. Le api, per esempio, insieme al vento svolgono un’importante funzione nell’impollinazione degli olivi, raggiungono tutti i fiori e permettono una fecondazione ottimale di più olive. Il vento a sua volta ha insegnato a piantare gli olivi impollinatori (come il Pendolino) sopravvento e in prossimità dei confini del podere.
Oggi, troppo spesso invece, si interviene artificiosamente per difendere gli olivi dai parassiti e stimolare la produzione. Ma i trattamenti chimici che distruggono i parassiti, eliminano anche i nostri alleati naturali e neutralizzano le difese dell’oliveto.
Per quale motivo? Per garantire produzioni elevate e costanti. In questo modo, però, nel lungo periodo l’oliveto si impoverisce e i suoi frutti diventano meno nutrienti.
Noi invece abbiamo scelto di utilizzare le risorse che ci offre la ricchezza dell’ambiente, anche se questo vuol dire non avere tutti gli anni la certezza di raccogliere le olive.
Rispettare la biodiveristà è stata la nostra priorità, perché preferiamo produrre olio naturale e autentico.
Come riconoscere l’olio di oliva
C’è molta superficialità nella connotazione dell’olio. Infatti il cliente, leggendo l’etichetta sulle varie confezioni di olio, apprende solo informazioni generiche che non gli permettono di poter giudicare e scegliere in piena consapevolezza.
Diamo un’occhiata alle etichette
Per legge l’etichetta deve indicare la provenienza dell’olio, in particolare se è:
– 100% italiano (o “prodotto in Italia”, oppure “prodotto italiano”)
– Proveniente della Comunità Europea
– Proveniente da Paesi extraeuropei
Chi applica l’etichetta, cioè l’imbottigliatore, sia egli produttore dell’olio o meno, non è tenuto a indicare la provenienza delle olive.
Sull’etichetta non si legge, perciò, se l’olio è prodotto con olive locali.
Un olio 100% italiano può, infatti, essere:
a) prodotto con olive provenienti da tutta Italia
b) imbottigliato con una miscela di olio d’oliva italiano
Niente di male, ma è solo olio 100% italiano.
Quindi il consumatore non sa quasi niente riguardo l’olio dentro la bottiglia che ha comprato.
Anzi, tutto quello che non è scritto sull’etichetta può essere possibile.
Può essere vero che un olio locale abbia di locale solo il nome del produttore o il luogo di confezionamento.
La provenienza delle olive invece è molto importante, perché l’olio di oliva si ottiene con la sola frangitura delle olive, senza ulteriori fasi di lavorazione. Non subisce elaborazioni, fermentazione o cottura, ma è solo un frutto trasformato e immediatamente commestibile. Infatti più è rapido il processo di trasformazione di un prodotto, più è determinante la qualità dell’ingrediente.
Sulle etichette dell’olio non è obbligatorio indicare nemmeno la data o l’anno di produzione!
L’unico riferimento per il consumatore è la data di scadenza, ossia la data entro cui è preferibile consumare l’olio: 18 mesi dall’imbottigliamento (non dalla frangitura!).
Ma chi sa queste cose? Una bottiglia di olio di oliva imbottigliata da poco tempo può anche non contenere olio dell’ultimo raccolto.
Quindi è importante indicare l’anno di raccolta e produzione sull’etichetta, soprattutto quando tutte le olive (e tutto l’olio estratto) provengono da quella specifica campagna olivicola, perché, se non c’è un riferimento, l’olio all’interno della bottiglia potrebbe essere in parte di annate più vecchie.
Naturalmente l’industria dell’olio, potendo omettere la chiara tracciabilità, ne trae vantaggi.
Ma come si fa a giudicare, a scegliere se non si conosce l’origine delle olive?
La vera filiera dell’olio
Frangere vuol dire rompere: le olive vengono ridotte in polpa, composta dalla drupa e dal nocciolo, che viene anch’esso frantumato. La sua consistenza aiuta l’estrazione dell’olio e delle sostanze nutritive delle olive.
Chi frange (Il frantoio) deve comunicare al SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale) la provenienza e la quantità di olive lavorate ogni giorno, la destinazione e il tipo di confezionamento dell’olio estratto. Ed è curioso sapere che solo 200 litri di olio per ogni olivicoltore possono essere destinati all’uso privato indipendentemente dal numero di olivi posseduti. Il resto si presuppone venga messo sul mercato e pertanto deve essere tracciato.
Il SIAN conosce perciò il percorso delle olive dall’olivicoltore alla bottiglia. Il consumatore invece no. Il consumatore, oltre alla suddetta macroarea di provenienza, dall’etichetta conosce solo:
– La classificazione dell’olio (Olio extravergine di oliva, Olio di oliva, Olio di sansa)
– L’azienda produttrice (dell’olio, non delle olive!), il confezionatore o il marchio
– L’anno di produzione, se indicato chiaramente
– La data di scadenza, o meglio la shelf life (vita a scaffale)
Per questo motivo chi fa olio d’oliva di qualità dovrebbe indicare in etichetta anche quello che la legge non contempla, dare più informazioni utili al consumatore e aiutarlo a distinguere, apprezzare e a stimolare la propria curiosità.
L’olio toscano
Dall’Appennino pistoiese alla Lunigiana, dalle colline fiorentine e casentinesi a quelle del Chianti, dalle pendici del Monte Amiata alla Maremma, dalle crete senesi alla Val d’Orcia, dal Montalbano alla costa tirrenica, ovunque è presente l’olivo, ma con caratteristiche diverse. Microclima, altitudine e cultivar (le varietà degli olivi) fanno le differenze, che si ritrovano nel profumo, nel gusto e nel colore dell’olio, così come nei suoi valori nutritivi e antiossidanti.
La Toscana ha il maggior numero di cultivar d’Italia (circa 100) ed è per questo la regione più vocata a produrre olio di oliva multivarietale, estratto cioè da una mescolanza di olive di diverse varietà.
Le qualità dell’olio del Montalbano
Il Montalbano è una catena montuosa che si stacca dall’Appennino all’altezza di Serravalle Pistoiese e si estende fino a Firenze. Il versante sud-ovest su cui si trovano i nostri olivi è esposto al sole fino al tramonto e al vento proveniente dal mare. Ricco di olivete e bosco, si presenta con terrazzamenti a pietra e terreni scoscesi. E’ ancora a vocazione agricola e intraprendente, che si ritrova anche nell’olivicoltura.
L’olio del Montalbano è anche certificato dal disciplinare dell’olio extravergine di oliva a indicazione geografica protetta con la menzione geografica aggiuntiva “Toscano di Montalbano”.
Le qualità chimiche dell’olio extravergine di oliva del Montalbano sono molte e assai superiori a quelle dell’olio extravergine di oliva generico.
Prendiamo un valore significativo, l’acidità: